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“Mangiate, amici, bevete; inebriatevi d’amore”

La vita degli sposi, tra sete inestinguibile e gratuità che l’appaga

Testo Ct 5,1-9

Ancora il cantico ci introduce in un clima passionale di tenerezza e poesia. Le parole ci accompagnano lievemente ad assaporare la loro forza nel rappresentare in modo autentico l’amore tra l’uomo e la sua donna. Relazione prima, esclusiva, alta, attraverso la quale Dio ha voluto essere manifestato proprio dentro questa realtà profondamente umana. 



Sono venuto nel mio giardino, sorella mia sposa …” In questo primo versetto ritorna in scena il giardino. Abbiamo detto in precedenza: “C’è un giardino da custodire e coltivare”. Il custodire e il coltivare sono verbi inscindibili dal tema della “cura”. La cura nasce dall’amore e dalla passione che gli sposi hanno l’un per l’altra. È la stessa cura che ha manifestato Cristo nei confronti della sua sposa. Nasce dalla gratuità estrema con la quale l’amore impone all’amante di dare tutto sé stesso per l’amata. Anche Gesù è venuto nel suo giardino, ha sposato la sua sposa, l’umanità, prendendo in sé un corpo di carne ed ossa, per unirsi per sempre alla sua amata in una sola carne. La gratuità viene espressa nel proseguire del versetto e precisamente nelle parole: “Mangiate, amici, bevete; inebriatevi d’amore”. Qui il richiamo al famoso versetto tratto dal profeta Isaia al cap. 55, 1: “O voi tutti assetati, venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate; venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte.” C’è una sete profonda da spegnere, e una abbondanza di acqua, vino e latte da donare senza riserva. Gli sposi sperimentano l’un per l’altro l’essere, vivendole, tutte e due le situazioni. Siamo gli assetati e contemporaneamente coloro che gratuitamente spengono la sete d’amore che ci abita nel profondo. Quanto importante è rendersi conto di questo, per sentirsi ricambiati a vicenda, e più liberi da sé stessi per essere totalmente per l’altro/a? Quanto è importante trovare equilibrio tra queste due realtà che ci abitano e che chiamano ad essere vissute con verità?

Mi sono addormentata, ma veglia il mio cuore. Un rumore! La voce del mio amato che bussa”. L'amato bussa alla porta, lo fa con impeto ed impazienza, desidera quanto prima abbracciare la sua amata. Fuori fa decisamente freddo, l’essere bagnato e gocciolante della brina notturna, lo rende desideroso di riscaldarsi finalmente al calore della propria sposa, ritrovare la pace tra le sue braccia. Lui non ha la chiave per entrare e da fuori non ha modo di aprire, è una porta che si può aprire solo da dentro. Potrà entrare solo se lei gli apre e se continuerà ad aprirgli. La sposa però si fa attendere, pur desiderosa di accogliere il proprio amato, sembra vinta dalla pigrizia: “Mi sono tolta la veste; come indossarla di nuovo? Mi son lavata i piedi; come sporcarli di nuovo?” Ecco che il sopravvento dell’io si insinua a volte nelle nostre decisioni. Occasioni di incontro e di amore perse perché la nostra logica egocentrica ci suggerisce il contrario della gratuità, il rovescio della cura e dell’amore esclusivo. A volte ci si accorge troppo tardi di aver perso l’occasione per abbeverarci o far spegnere la sete dell’altro, ma anche la nostra assieme alla sua. Altre volte non si è pronti al dono totale e si temporeggia. Nonostante la passione che abita, la sposa sembra temporeggiare, nel suo animo forse ci sono delle zone d’ombra, delle resistenze che sembrano impedire il dono di sé. Succede anche nel rapporto con Dio, ci si può trovare pieni di sollecitudine nei suoi confronti, ma paurosi di perdere qualcosa di sé, tratteniamo il nostro abbandonarci in Lui.

“L’amato mio ha introdotto la mano nella fessura e le mie viscere fremettero per lui”. Solo il ricordo della gioia, del piacere, della tenerezza provata, in altri incontri profondi e belli vissuti in precedenza, possono risvegliare il desiderio dell’incontro con l’amato. Ma certo non si può forzare la mano dell’altro, altrimenti non si tratterebbe più di reciproca donazione nella libertà, ma ci troveremmo davanti a un tentativo di violenza. Solo se e quando l’amata si alzerà ad aprire potrà esserci l’incontro tra i due. 
“Ho aperto allora all’amato mio, ma l’amato mio se ne era andato …” Quando va ad aprire trova una spiacevole sorpresa: il suo diletto è scomparso, forse non ha avuto abbastanza pazienza? 
C’è una tensione tra i due verbi: “aprire” e “trovare”. Lei ora è disposta ad andare incontro all’amato, si precipita allora a cercarlo, ma non lo trova. Si vive a volte questa tensione, i sentimenti vengono sfasati, fuori posto, si prova quindi una sorta di desolazione nel realizzare che quando l’amato prende l’iniziativa per andare verso l’amata non la trova pronta; mentre quando poi lei si rende disponibile, lui non c’è più. Per queste situazioni a volte si vivono delle crisi nella relazione, che sembrano volute ma che spesso sono solo dettate da tempi diversi di maturazione e crescita, che nascono nel rapporto di reciprocità, superabili solo se ognuno dei due sarà disposto a rendersi conto che l’altro è diverso da sé. I tempi di maturazione dell’amore sono diversi perché i due sono diversi! Sapersi aspettare, perché ci si ama, diventa l’antidoto che ci salva.  
Lorella e Bruno Nardin