Collateral Beauty, al netto delle critiche altolocate che ha ricevuto, è, indubbiamente, un bel film. Ma per essere capito, e possiamo dire anche “guardato” e non semplicemente visto, va gustato almeno 2 volte: la prima per “vederlo”, la seconda per “gustare” le sfumature.
E questo è, obbiettivamente, il senso della bellezza collaterale del film stesso. Non è il film stesso che è bello, ma ciò che può portarti a riflettere guardando le cose da un altro punto di vista.
Rivisitazione in chiave moderna del famoso “Canto di Natale” di C. Dickens, il film racconta la storia di 4 persone diverse tra loro, unite da una amicizia di vecchia data che li ha spinti a creare una agenzia pubblicitaria. E l’anima, il cuore di questa azienda (il creativo) è Howard, interpretato da Will Smith. Il film inizia con il botto: l’istrionico Howard ammalia il suo “pubblico”, alias i suoi dipendenti, con un discorso mozza fiato sulle tre cose importanti della vita: Amore, Tempo, Morte.
Qualche anno dopo Howard si presenta allo spettatore, ai suoi soci/amici e ai dipendenti come un fantasma, relitto di quello che era. Un lutto improvviso, devastante per un padre, lo ha sconfitto… Non crede più in nulla e anche il suo matrimonio è fallito. La società sta fallendo e lui non se ne vuole occupare, così i suoi amici cercano di farlo passare per pazzo quando, grazie ad una detective da loro assunta, scoprono che Howard ha scritte tre lettere a Amore, Tempo e Morte.
Con l’aiuto di tre attori, assunti appositamente, riescono nel loro intento, ma… mi fermo qui e vi vedete il film!
Se avete presente il racconto “Canto di Natale” ovviamente sapete come andrà a finire, ma qui voglio semplicemente fermarmi su alcune cose che mi hanno colpito (alla seconda visione): l’investigatrice consegna le lettere che Howard a spedito ai tre soci non in modo casuale. All’amico Whit (Edward Norton), uscito da un divorzio burrascoso con problemi con la figlia consegna la lettera ad “Amore”.
Alla socia Claire (Kate Winslet) che ha lasciato tutto per la famiglia e che sta cercando di avere un figlio consegna “Tempo” e al socio Simon (Michael Peña) che non sta bene consegna “Morte”.
La scelta, come si intuisce, rileva, anche qui, una bellezza collaterale: il percorso che i tre soci fanno, accompagnati dagli attori (ma lo sono veramente?), si accompagna al percorso di Howard che li toglie dalla cristallizzazione dei loro tormenti e li porta a riscoprire sé stessi…
La “bellezza collaterale” che rappresenta il titolo del film è proprio la capacità di intravvedere, anche nelle difficoltà, qualcosa di bello e positivo. Qualcosa che è comunque presente anche nei momenti di maggior sofferenza, anche se è difficile trovare la forza di farlo. Se si riesce a cogliere, può sollevare il peso di chi è afflitto dal dolore. Ed è proprio questo uno dei motivi per cui ho apprezzato il film: riuscire a capire che c’è speranza, come fa Madeleine, che guida un gruppo di ascolto per i genitori in lutto e che, alla fine del film, riserverà alcune sorprese.