Article

Leggi gli altri articoli
Leggi gli altri articoli

Abisag e Davide: la relazione tra forza e debolezza, la rivoluzione della tenerezza

La Bibbia molte volte narra di uomini e donne in crisi che necessitano di altro rispetto a ciò che stanno vivendo e, come dice la teologa Lidia Maggi, la Bibbia può diventare un testo terapeutico per noi uomini e donne di oggi, in quanto possiamo leggere questi avvenimenti come modelli per capire e illuminare le nostre esperienze come in un viaggio intimo e personale. La Parola di Dio può entrare dentro di noi e mettere in scena i nostri sentimenti e interrogarli. 
L’episodio biblico che leggiamo dal primo libro dei Re(1,1-4) ci narra di un re in profonda crisi. “Il re Davide era vecchio e avanzato negli anni e, sebbene lo coprissero, non riusciva a riscaldarsi” (v. 1). Davide, ormai anziano, sta vivendo un disagio personale, sente freddo, ma si capisce che questo gelo non è legato alla temperatura del corpo, piuttosto si tratta di una freddezza interiore che egli non riesce a colmare. È stato un re potente, saggio e certo anche un peccatore. Ha vissuto una vita di eventi e imprese che lo hanno fatto sentire grande agli occhi suoi e del popolo, ma in questo momento della sua vita sente una mancanza.
Il benessere di Davide si riaccende grazie ad un movimento orizzontale che non t’aspetti. “I suoi servi gli suggerirono: “Si cerchi per il re, nostro signore, una giovane vergine, che assista il re e lo curi e dorma sul suo seno; così il re, nostro signore, si riscalderà” (v. 2). L’aiuto per il re non piove dal cielo, ma viene da persone che hanno colto la sua necessità. Dio, anche in questo ultimo frangente di vita, gli è accanto. Dio parla nel quotidiano e attraverso dei gesti e delle persone ci comunica la sua presenza. Il re Davide potente e forte si sperimenta, sul declinare degli anni, fragile e provato. Ha un Harem pieno di mogli, concubine, giovani fanciulle che da giovane lo hanno consolato, ma ora tutto ciò non gli serve più.  
“Si cercò in tutto il territorio d’Israele una giovane bella e si trovò Abisàg, la Sunammita, e la condussero al re” (v. 3) Quando entra in scena Abisag, Davide capisce ciò di cui ha bisogno per riscaldarsi. Giunto alla fine della sua esistenza non necessita più di forza e di potere ma di tenerezza, di gesti di amore disinteressato, di cura e vicinanza vera, di carezze gentili, di contatti umani che gli ricordino quella vicinanza costante di un Dio che non lo ha mai lasciato solo, nemmeno nel peccato. 
“La giovane era straordinariamente bella; ella curava il re e lo serviva, ma il re non si unì a lei” (v. 4). E questo finale - “ma il re non si unì a lei” - lo leggiamo come una capacità nel re di aver visto oltre, di aver percepito attraverso la bellezza di Abisag la vicinanza di Dio che non lo ha mai abbandonato e non lo abbandonerà neppure ora, nell’ultimo respiro della sua vita. Davide conosce bene il suo Dio, basti ascoltare con attenzione alcuni Salmi che inneggiano alla Sua forza e non alla sua di forza dovuta alle vittorie e ai paesi conquistati: “Mia forza e mio canto è il Signore” (sal 117). Oppure il salmo 22, dove si inneggia a un Dio di una tenerezza disarmante, un Dio pastore che lo fa coricare su pascoli erbosi e lo conduce a dissetarsi ad acque tranquille, che gli sta vicino nell’oscurità e gli dice di non temere alcun male. 
Con Abisag Davide fa cadere la corazza di uomo duro. Si spoglia e accoglie, nella sua nudità l’abbraccio vero della giovane Sunammita, quella bellezza che stravolge, quella bellezza e quell’amore che nel libro del Cantico dei Cantici è trasformante. La Bibbia si mostra qui come codice esistenziale, è Parola che ci abita e, se ascoltata con il cuore, ci parla nel profondo di noi stessi. Davide attraverso l’incontro tenero con Abisag ricomincia a pulsare, si riscalda, anche in questo ultimo soffio di vita, non ha più nessuna paura perché appunto, come dice il Salmo, può acclamare: “Mia forza e mio canto è il Signore”. Davide infatti si sente amato, perdonato e accolto dal Signore. 
Noi crediamo che proprio il calore di una presenza amica sia ciò che ci rianima. Il calore diventa forza che trasforma e, viceversa, l’assenza di calore è quel luogo cupo e spaventoso dove siamo soli e sconosciuti, cioè senza nessuno che ci chiami con tenerezza. Il calore infatti è un bisogno fisiologico fondamentale, nessun cucciolo di mammifero sopravvive senza la tenerezza e il calore materno. Noi adulti possiamo forse sopravvivere senza calore, ma è una vita grama e dura. Il calore e la tenerezza di un’altra persona ci mette a nostro agio, risana le nostre ferite, ci conforta e permette alle nostre potenzialità di fiorire. Basta pensare all’ultima volta che abbiamo incontrato una persona piena di tenerezza e calore, a come ci ha fatto star bene quell’incontro, a come non ci siamo più sentiti costretti a fingere o a metterci in competizione o a dimostrare il nostro valore, ma ci siamo sentiti capaci di mille imprese. Perché la tenerezza con la quale siamo guardati, toccati afferma non solo ciò che noi siamo, ma anche ciò che possiamo diventare. Noi facciamo esperienza infatti di come il calore non sia solo un fatto biologico, bensì una metafora di vita, una qualità che si sente negli occhi, si sente nella voce, si indovina nella maniera in cui siamo accolti. Il calore è il cuore pulsante della gentilezza e della tenerezza, ci fa sentire amati e irrimediabilmente noi stessi unici e irripetibili mentre allo stesso modo la freddezza ci rende ombre uguali e senza nome.
Maria Teresa e Angelo (Famiglie del Movimento francescano fraternità familiari di Camposampiero)