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Abramo e Sara: l’attesa tra disillusione e speranza

Abramo e Sara: l’attesa tra disillusione e speranza


“Il Signore disse ad Abram” (Gen 12, 1), così inizia la vicenda di Abramo nel libro della Genesi. Questo cosa vuol dire? A settantacinque anni Abram è chiamato da Dio. All’inizio di ogni avventura spirituale c’è la Parola di Dio che chiama - in ogni ora della vita - e rivolgendosi ad Abramo lo colloca nel suo tempo, nel suo spazio, dandogli consistenza, appoggio, prospettive. 
Ma chi è Abramo prima della chiamata di Dio? Probabilmente è un uomo semplice, vive una vita tranquilla assieme alla moglie Sarai, che non potrà darle dei figli perché sterile. La parola di Dio è inizio di tutto, anche per ciascuno di noi, indipendentemente dalla scelta di vita o dalla vocazione che si decide di perseguire (vocazione religiosa, matrimoniale o single). È rivolta a tutti: non si fanno differenze. Dio parla e Abramo si affida alla Parola che ascolta. Questo è il paradosso: Dio gli parla, gli dà tutto nelle promesse ma di fatto lui ancora non possiede nulla, lo intravede da lontano, lo scruta. L’insegnamento crediamo qui è quello di lasciarsi educare pazientemente, dalla Parola di Dio, la quale ci fa incamminare verso la strada giusta. Questo atteggiamento di obbedienza alla Parola si chiama solo con una parola: speranza. È nel dialogo con le Scritture, con la Parola di Dio che c’è il nostro futuro, la nostra speranza. 
Ma cosa promette Dio ad Abramo? Promette tre grandi prospettive: una discendenza numerosa, un grande popolo, una benedizione. Per benedizione s’intende un’intimità particolare, un rapporto di comunione tra me e te. Intanto Abramo ha da Dio delle promesse, ma non riceve ancora niente. Il Signore gli dà però una responsabilità universale come se tutta la salvezza partisse da lui. Responsabilità che a volte troviamo nelle nostre vocazioni di uomini e di donne credenti. 
Abramo allora coinvolge, nella sua scelta di partire, tutta la sua gente, si mette in gioco, investe e spende tutto in questa storia. Parte con la moglie, con il nipote, non trattiene niente per sé, non accantona nulla come garanzia, consegna tutto e si mette in viaggio verso il paese di Canaan, la terra che Dio gli ha promesso. Il paese però è occupato dai Cananei. Abramo è sbalordito, ma come? La “sua” terra, la terra destinata a lui secondo la promessa è abitata da altri. Per Abramo questo è un inconveniente, che non aveva calcolato, c’è un imprevisto, un ritardo non previsto. E qui l’insegnamento che sentiamo molto vero e forte per noi è che bisogna imparare a stare ai tempi e ai modi di Dio. Dio ha un disegno su ognuno di noi, ma accade a volte che esso ci venga presentato nel momento più difficile della nostra vita o in un momento in cui non ce lo aspettiamo o crediamo di perseguire una strada diversa da quella che il Signore ci indica. Una frase che ci ritorna in mente spesso e che ci è stata riportata durante un convegno al quale abbiamo partecipato dice: “se vuoi far ridere il Signore, raccontagli dei tuoi progetti”. 
Arriva dunque il momento che l’uomo Abramo entra in crisi. Comincia a pensare che le cose non vanno, che si è sbagliato. Passano gli anni e la discendenza non c’è e il paese promesso è occupato. E qui per Abramo arriva una tentazione: la noncuranza. Egli decide di scrollarsi di dosso questa responsabilità, questa fatica, sproporzionata alle sue misure e scappa, si rifugia in Egitto. Il Signore però ribadisce la sua Parola, gli rimane fedele. Sara, che Abramo voleva lasciare, dovrà rimanere al suo fianco, perché la promessa di Dio quando dovrà compiersi passerà attraverso di lei. 
Ma non è finita qui, c’è un’altra tentazione che attende Abramo: la fretta. Lui sente la necessità di affrettare i tempi in modo che nasca un figlio e si compiano così le promesse di Dio. Inizia la ricerca di un discendente, Abramo pensa al nipote Lot; interviene anche Sara che gli suggerisce di unirsi alla schiava Agar e da lei nascerà Ismaele. Ma ancora una volta Dio ribadisce che un figlio dovrà nascere, a suo tempo, da Sara. La fedeltà di Dio fa sì che Abramo esca dalla “tenda” dei suoi pensieri, dei suoi calcoli, dei suoi progetti, dei suoi “tempi stretti” per contemplare le innumerevoli stelle del Cielo e per continuare a credere alle promesse del Signore. E lui ancora una volta accoglie, si fida, si affida a Dio e ai tempi voluti da Dio e nascerà da Sara il figlio Isacco.     
Dunque, al contrario della speranza che significa ‘attesa fiduciosa di un evento gradito o favorevole’, sentiamo e noi l’abbiamo sperimentato, che c’è dietro l’angolo un’altra tentazione, quella della disillusione, del disinganno. Come a voler dire dopo tante prove nella vita: “Basta, non mi illudo più!”. Questo sentimento viene espresso in Abramo e Sara quando in due momenti diversi della loro storia si ritrovano entrambi a “ridere” di ciò che Dio comunica loro. Abramo, in uno dei suoi momenti di crisi, ascolta Dio che parla e gli ricorda la sua promessa, ma ride perché è disilluso e non ci crede più. Sara, a sua volta, ride con amarezza dietro la tenda mentre sente la promessa fatta ad Abramo dai tre uomini mandati da Dio che gli preannunciano di lì ad un anno la nascita di un figlio, proprio a lei ormai avanti negli anni. 
Alla fine vediamo come con Sara e Abramo, persone semplici e concrete nella loro fatica a credere alle promesse di Dio e col figlio Isacco – il cui nome significa non a caso “Dio ha sorriso, si è mostrato favorevole” - Dio tracci una via e dia inizio al nuovo futuro dell’umanità. 
Allo stesso modo noi crediamo che anche oggi la coppia che esprime la totale obbedienza e adesione alla parola del Signore, compia il disegno di salvezza di Dio per l’umanità intera 
Alessandra e Paolo (Famiglie del Movimento francescano fraternità familiari di Camposampiero)