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Adamo ed Eva: la differenza non indifferente

Quando ci pensiamo esplode la meraviglia: quale grandissimo atto d’amore di Dio verso l’uomo nel dar vita per lui ad una creatura tanto unica quanto “simile a lui” (Gen. 2, 18). Quale incommensurabile atto d’Amore! Dio poteva fermarsi alla creazione, al giardino dell’Eden. Invece no. Nella Sua infinita tenerezza e bontà Dio, Creatore e Padre, si rende subito conto che “non è bene che l’uomo sia solo” (Gen. 2, 18). Che la solitudine non è, oggettivamente, una cosa buona nemmeno per chi può godere – letteralmente - di ogni ben di Dio!
Immediatamente Dio coglie il desiderio, l’inquietudine dell’uomo prima ancora che Adamo lo espliciti. “Voglio fargli un aiuto che gli corrisponda” (Gen. 2, 18). E, nel creare ogni essere vivente funzionale a soddisfare le necessità dell’uomo, il Signore sa che tra tutte non vi è ancora quell’essere speciale, così speciale, da corrispondergli. Ma in cosa consiste, questa corrispondenza che non si realizza con le altre creature? Innanzi tutto, nella sostanza di un’altra persona da porre di fronte a sé. Da quell’intuizione (“non è bene che l’uomo sia solo”) Dio creò la donna. Non la plasmò dal suolo – come tutte le altre creature – bensì la creò della stessa natura dell’uomo, della sua stessa materia: “Ossa dalle mie ossa, carne dalla mia carne” (Gen. 2, 23). Una creatura di altrettanta bellezza! 
“E Dio creò l’uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò (Gen. 1,27).
Due esseri a immagine di Dio, due creature paritetiche, aventi la medesima identica dignità, dotate di intelletto e per questo capaci di esercitare un potere (dominio) sugli altri esseri viventi, ma soprattutto dotati di interiorità, sensibilità, volontà e capacità di dialogare tra loro ed entrare in relazione con Dio e con tutto il creato. Due creature simili, eppure non uguali. Costituzionalmente differenti, eppure “immagine” viva e vivente dello stesso Creatore. 
La corrispondenza tra l’uomo e la donna si manifesta proprio nella loro differenza. Una differenza non solo voluta da Dio, ma altresì stimata e benedetta come “cosa molto buona” (Gen. 1,31). E questo non in ragione del fatto che ciascuno dei due sia manchevole di una parte e il completamento dell’uno si realizzi solo in funzione dell’esistenza dell’altra (due metà di un unico frutto). Bensì, proprio il contrario. Quanto più ciascuno porta nella relazione con l’altro la propria specificità, la ricchezza della sua diversità, tanto più, da questa reciprocità, dall’unione di questa alterità, dalla sintonia che nasce tra uomo e donna, si genera qualcosa di nuovo. Si realizza quell’unità così intima e profonda (fatta di aiuto, conforto, conoscenza, comprensione, mutuo soccorso…) che trova la sua massima espressione nel dono (reciproco) di sé: “I due saranno un’unica carne” (Gen. 2, 24). L’unità nella differenza: ma non un’unità chiusa, sterile, bensì un’unione generativa, che dà origine a qualcosa di nuovo. 
Certo, riconoscere e accettare che la differenza dell’altro/a sia una benedizione, conditio sine qua non per la crescita della coppia, non è immediatamente facile. Certamente non è solo il frutto di uno sforzo personale. È una grazia, frutto dello Spirito, che va desiderata, domandata e anche cercata. All’inizio, nella fase della scoperta dell’altro, tutto di lui/lei inebria i sensi e offusca la ragione. Tanto basta per compiere quel miracolo dell’incontro che porta ad innamorarsi. Nel tempo, però l’incantesimo perde un po’ della sua intensità. Come si dice, il principe azzurro si trasforma in un ranocchio e la principessa perde non solo la scarpina, ma anche il punto vita! Tutto il fascino dell’inizio sembra svanire. Ed è allora che nella coppia si può correre il rischio di un allontanamento dalla Grazia di quell’incontro. 
Questo è quanto accaduto a noi due ad un certo punto del nostro cammino di sposi. Quando abbiamo iniziato a guardarci sotto la lente dei nostri limiti e delle nostre mancanze. Lentamente e senza che ce ne accorgessimo si è fatta strada la pretesa di un cambiamento dell’altro secondo i propri criteri. E nulla più dell’altro/a (o molto poco) sembrava corrisponderci. Una pericolosa distanza si era insinuata tra noi. 
Cos’abbia fatto invertire la rotta, non sapremmo declinarlo bene in una lista di buone pratiche, ma possiamo dire com’è stato per noi. Se non siamo andati alla deriva è stato perché ci siamo messi a nudo di fronte alla nostra incapacità (del tutto umana) di accoglierci, di accettare le nostre differenze. Il dircelo e contemporaneamente il non fermarci allo scandalo di questa incapacità e il desiderio condiviso che questa “ferita” fosse rimarginata, hanno fatto sì che ci rimettessimo in cammino. 
Ma è stato, soprattutto, a partire da uno sguardo di simpatia, di tenerezza e di misericordia che, ad un certo punto ben preciso della nostra storia, ci siamo sentiti Amati e voluti per com’eravamo, attraverso l’incontro con un’umanità bella, fatta di volti, di persone divenute sempre più care e che si sono prese cura di noi. Questo ha reso possibile un nuovo inizio e ha generato per noi un nuovo modo di guardarci, di stare insieme e di gioire della presenza dell’altro che dentro tutte le dinamiche della vita è per ciascuno un dono e aiuto. L’altro è un Bene per me!
Jacopa e Graziano (Famiglie del Movimento francescano fraternità familiari di Camposampiero)