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Educare in famiglia - 7

265. Per agire bene non basta “giudicare in modo adeguato” o sapere con chiarezza che cosa si deve fare, benché ciò sia prioritario. Molte volte siamo incoerenti con le nostre convinzioni personali, persino quando esse sono solide. Per quanto la coscienza ci detti un determinato giudizio morale, a volte hanno più potere altre cose che ci attraggono, se non abbiamo acquisito che il bene colto dalla mente si radichi in noi come profonda inclinazione affettiva, come gusto per il bene che pesi più di altre attrattive e che ci faccia percepire che quanto abbiamo colto come bene lo è anche “per noi” qui ed ora. Una formazione etica efficace implica il mostrare alla persona fino a che punto convenga a lei stessa agire bene. Oggi è spesso inefficace chiedere qualcosa che esiga sforzo e rinunce, senza mostrare chiaramente il bene che con ciò si potrebbe raggiungere.



Nel capitolo 7 di Amoris Laetitia papa Francesco si concentra sull’educazione dei figli. Finora abbiamo commentato i contenuti dal numero 259 al 264. Francesco si sofferma sull’educazione morale, cioè sull’educare la libertà affinché ogni figlio possa scegliere per il bene, per l’amore, per la vita. Al n. 265 Francesco si concentra su un aspetto apparentemente secondario. Non basta infatti “indicare” il bene o sapere con chiarezza ciò che si deve fare e come lo si deve fare. Il bene va gustato. Ciò significa che il bene è necessario che si radichi in noi e nei figli “come profonda inclinazione affettiva, come gusto per il bene”. È certo importante sforzarsi per il bene o rinunciare per esso a delle soddisfazioni immediate (ad esempio: rinuncio ad uscire con i miei amici perché devo studiare per il compito di domani; lavoro in pizzeria nel weekend così inizio a rendermi autonomo economicamente, …). Questo però, alla lunga, rischia l’inefficacia se non faccio l’esperienza di gustare il bene, se non comprendo che agire bene è buono e bello per me e “per noi” qui e ora. In fondo questo vale anche in riferimento all’educazione alla fede. Gesù non è qualcuno che innanzitutto va compreso con chiarezza, un modello buono al quale ispirarsi. Come ci suggerisce un altro sudamericano, Rubem Alves, Gesù in primo luogo va incontrato, va mangiato (“Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo …”), va gustato. E la Parola, il pane, vanno gustati insieme. Al bene non ci arrivo mai da solo. I compagni (dal latino cum, “con” e panis “pane”) sono le persone che condividono e gustano insieme il pane, che fanno esperienza insieme del bene.
Andrea Pozzobon e Daniela Bruniera