Article

Leggi gli altri articoli
Leggi gli altri articoli

Elkana e Anna: quando il figlio non arriva

Il brano del racconto di Elkana e Anna nel primo libro di Samuele (cfr 1Samuele 1, 1-20) ci colpisce perché racconta di un amore di coppia senza figli: in quel tempo la sterilità veniva attribuita alla donna.      
Anna è una donna ferita che soffre perché la mancanza di generatività è fonte di un dolore profondo, che può mettere in discussione l’identità femminile. La sua sensibilità le fa percepire la sofferenza di un grembo sterile come una ferita al suo essere donna e diviene la sofferenza di tutta la persona: "Anna si mise a piangere e non voleva prendere cibo" (1Sam 1,7). Inoltre, questa ferita, già grave per lei, viene accentuata davanti alla fecondità degli altri. Anna si scontra con la perfidia di un'altra donna che ostenta i propri figli per mortificare lei che ne è senza: "La sua rivale per giunta l'affliggeva con durezza a causa della sua umiliazione" (1Sam 1,6). Anna di sente mortificata da Peninna che a nostro parere rappresenta il giudizio negativo della società, che talvolta, anche in modo velato, marchia le donne sterili facendo loro credere di essere diverse e incomplete. 
Elkana è un uomo che ama sua moglie, la rispetta, indipendentemente dalla sua infertilità; egli ci insegna che l’amore sponsale, se vissuto in pienezza è generativo e può curare le fragilità individuali degli sposi.
Il racconto biblico ci riporta alla nostra storia, al periodo in cui anche noi, sposi novelli, ci siamo scontrati con la difficile realtà del figlio che non arriva. Il percorso è stato lungo e a volte travagliato: ci siamo affidati in un primo momento ai metodi naturali di procreazione per poi passare alle cure mediche che hanno comportato un impegno farmacologico non indifferente. Rispetto a questo percorso di attesa e al tempo stesso di sofferenza fisica, ci siamo spesso interrogati quanto fosse per noi corretto sottoporre il corpo femminile al bombardamento ormonale per raggiungere il desiderio procreativo. Questo pensiero ci ha accompagnati in tutto il percorso, fino a giungere alla consapevolezza che di fronte al terzo tentativo, non andato a buon fine, il rispetto dei nostri corpi fosse prioritario rispetto al desiderio di un bimbo “ad ogni costo”. 
Il passaggio fondamentale è stato realizzare che per noi essere genitori non significa soddisfare il bisogno di avere un figlio ma è la risposta di un desiderio più profondo: “fare spazio” nei nostri cuori, accogliere una creatura nella nostra vita, allargare la famiglia. 
Dopo aver capito che la fecondazione assistita non era per noi la strada giusta, abbiamo deciso di intraprendere il percorso adottivo. Giunti al 6° anno di questa esperienza, che non si è ancora concretizzata, ci sentiamo sicuramente stanchi e affaticati dalla burocrazia e dalla lunga attesa. I nostri cuori sono però leggeri perché come Anna ci sentiamo di aver fatto il nostro voto a Dio: sei anni fa abbiamo consegnato la nostra disponibilità, ed oggi siamo certi di aver fatto quanto umanamente in nostro potere. Il resto spetta a Dio e noi lo accogliamo con speranza, fede e gratitudine.  
Ci sentiamo di non avere rimpianti e nessun pentimento: sappiamo di aver fatto il nostro percorso e che probabilmente avevamo bisogno di vivere tutte le tappe che abbiamo vissuto, per fare chiarezza nei nostri cuori, per realizzare concretamente il desiderio profondo di amore che alberga le nostre anime. Abbiamo preso le nostre decisioni alla luce del nostro sentire ma spinti dalla profonda convinzione che i figli sono prima di tutto un miracolo generato dall’amore della coppia. Per questo, di fronte ad alcune proposte di fecondazione assistita, molto in voga e sponsorizzate nella nostra società, abbiamo con forza, ma non senza sofferenza, detto il nostro NO!
Elkana e Anna, così come altri brani della Bibbia, raccontano storie di sterilità che mettono in evidenza il limite dell’uomo; Dio con la sua grazia interviene nelle nostre vite determinandone la salvezza. Noi stessi nel nostro percorso, che continua, abbiamo toccato con mano che l’uomo da solo non può generare la vita ma Dio non ti abbandona, fedele alla Sua Promessa, se accolto, interviene con la Sua benedizione aprendoci la strada della fecondità. 
Fecondità che si contrappone a infertilità, e lo scenario cambia e parte una nuova storia, che non ha più il sapore della tristezza e della sofferenza ma assume un carattere nuovo. Nuova Vita, nuova speranza, nuovo cammino il cui esito di felicità, con l’aiuto di Dio, dipende solo da noi!
Buon cammino a tutti…
Federica e Raffaello (Famiglie del Movimento francescano fraternità familiari di Camposampiero)