La storia di Giuseppe - il più lungo racconto della Genesi con accenti romanzeschi - è una storia di fratelli, di relazioni, di una fraternità distrutta e poi ricostruita attraverso vicende spesso penose, ma anche storia di eventi che si presentano insormontabili, di rapporti del piccolo gruppo di Ebrei con il grande impero d’Egitto. In questo contesto si sviluppa la dura vicenda del giovane Giuseppe di circa 17anni, nella quale la disperazione non prende la sopraffazione, non mette radice nel suo cuore e non abbatte il suo spirito.
Ci domandiamo qui: com’è possibile per noi impedire che nelle odierne difficoltà del matrimonio e della famiglia le tentazioni, le occasioni/delusioni e le cadute della vita ci facciano perdere il percorso personale e di coppia nella fede?
L’esempio di Giuseppe può insegnarci molto al riguardo. Il racconto biblico (cfr. Gen 39, 6-20) parla di
Giuseppe (il figlio di Giacobbe), venduto come
schiavo in
Egitto, dove ha come padrone un ufficiale del
faraone chiamato Potifar. La vicenda ci riporta una serie di avvenimenti positivi che si trasformano in situazioni preoccupanti fino al precipizio della disperazione, e che si evolvono però in circostanze dove l’atteggiamento prevalente è non di divisione o rivalsa, ma di umile fortezza.
Guardando alla nostra esperienza ci rendiamo conto come la bellezza degli uomini e delle donne causi spesso problemi sia a sé stessi che agli altri. La bellezza fisica, ma non solo, anche la bellezza nei modi e la gentilezza offerte da altri possono a portare a lasciarsi andare in atteggiamenti che mettono a rischio il rapporto di coppia, soprattutto in periodi un po' “stagnanti” che si sta vivendo, anche solo di uno dei due partner.
Così nel racconto biblico ci viene mostrato come il cuore della moglie di Potifar fosse rivolto completamente a fare del male: lei alzò gli occhi su Giuseppe suo servo “e gli disse: «Unisciti a me!» Ma egli rifiutò e disse alla moglie del suo padrone: «Ecco, il mio padrone non mi chiede conto di quanto è nella casa e mi ha affidato tutto quello che ha. In questa casa, egli stesso non è più grande di me e nulla mi ha vietato, se non te, perché sei sua moglie. Come dunque potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?»” (Gen 39, 7-9).
Niente nella Bibbia lascia intendere che Giuseppe fosse immune dai desideri e dalle pulsioni tipiche della sua età, e non dice neanche che la moglie viziata del ricco e influente ufficiale di corte fosse poco attraente. In realtà non sappiamo quali pensieri attraversarono la mente di Giuseppe; non abbiamo dubbi però su quello che provava nel suo cuore.
Giuseppe, per grazia di Dio, fu capace di resistete e la sua “fuga” dalla tentazione fu un grande esempio. Egli non si mise a ragionare con la tentazione, ma fuggì da essa per salvare l’anima. Quella di Potifar è una famiglia malvagia che si ritrova in fondo però benedetta per amore di un loro buon servo.
Abbiamo un grande bisogno di fare un patto con i nostri sensi, affinché essi non infettino il nostro cuore. Così l’onore, la giustizia e la gratitudine ci obbligano a non fare alcun torto a quelli che pongono la loro fiducia in noi e ad evitare quanto perfino segretamente possiamo fare loro di male.
Noi ci rendiamo conto così come le persone fedeli debbano mostrarsi ferme e determinate, proprio come Giuseppe, nonostante egli sia continuamente sottoposto alla prova. Infatti la padrona di Giuseppe, avendo provato invano a farlo cadere, cercò di vendicarsi accusandolo gravemente ed ingiustamente di aver tentato di violentarla. Potifar, il padrone di Giuseppe, credette all’accusa e scelse per lui la peggiore delle prigioni. Egli fu allontanato da tutti i suoi amici e dalla vita normale per almeno 12/13 anni. Ma Dio diede grazia agli occhi del custode della prigione e questi ebbe fiducia in lui facendogli gestire i compiti della prigione, proprio come era avvenuto nella casa di Potifar. Un uomo buono farà del bene dovunque egli è e sarà una benedizione anche per chi è imprigionato e si sente perduto. A distanza di tempo il faraone riconoscerà il suo valore e gli darà il comando dell'Egitto (Genesi 41, 37-43).
Da questa vicenda noi abbiamo capito che nella vita potremmo trovarci davanti a imprevisti e sconvolgimenti, ma noi tutti possiamo imparare dalla fede di Giuseppe, uomo benedetto e benedicente. Così non dimentichiamo mai di guardare a Gesù, che soffrì la tentazione senza avere mai peccato, che fu calunniato e perseguitato e incarcerato senza motivo e che per mezzo della croce salì al trono di grazia.
Tenendoci stretti a Dio tramite la preghiera, rimanendo leali ai suoi insegnamenti e impegnandoci strenuamente per fare ciò che è giusto ai suoi occhi, anche noi gli daremo qualcosa da benedire.
Giuseppe testimonia che il bene del singolo, e di conseguenza della coppia, è la costanza nel tenere a debita distanza le tentazioni della vita, rimanere saldi in quel Dio sempre fedele, negli insegnamenti di Gesù e in quella benedizione ottenuta con il sacramento del matrimonio, un istituto di grazia che ci aiuta a proteggerci dalle intemperie del mondo.