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La Grazia di riconoscere Cristo nell’altro

Stiamo percorrendo insieme il nono capitolo di Amoris Laetitia, nel tentativo di cogliere elementi significativi che qualificano la spiritualità coniugale e familiare. 
Ci sono modi molto familiari e coniugali di entrare in relazione quotidianamente, come ad esempio lo sguardo, e che sono dotati di uno spessore capace di coinvolgere la persona in una vera esperienza spirituale. Al n.323 Francesco afferma: «è una profonda esperienza spirituale contemplare ogni persona cara con gli occhi di Dio e riconoscere Cristo in lei». 
‘Spirituale’ – come dicevamo all’inizio del percorso – richiama lo Spirito, che è Relazione piena del Padre e del Figlio. Lo Spirito Santo opera nella persona che si lascia ‘lavorare interiormente’, attraendola e coinvolgendola nella comunione con Dio, fino a realizzare in lei la progressiva sintonia con lo sguardo e con il cuore di Dio. 
Lo sguardo a poco a poco si affina e giunge a cogliere «la bellezza – “l’alto valore” dell’altro che non coincide con le sue attrattive fisiche o psicologiche», permettendoci di «gustare la sacralità della sua persona senza l’imperiosa necessità di possederla» (127). In questo modo, lo sguardo amante, trasformato dall’intima e segreta azione dello Spirito, posandosi sulla persona amata, può riflettere per un momento lo sguardo originario di Dio sull’uomo – «vide che era cosa molto buona» (Gen 1,26). Dio infatti desidera la sua creatura e, proprio per la verità del suo desiderio, non la possiede ma la libera, perché la risposta d’amore non sia frutto di timore o costrizione. 
Francesco parla di un tale sguardo come di una profonda esperienza spirituale innanzitutto perché permette di riconoscere con stupore che lo Spirito Santo vive e agisce in lui. Ma anche perché consente di riconoscere Cristo nell’altro. 
L’esperienza ci dice che riconoscere qualcuno è possibile se tra noi e lui c’è un legame di affetto che ha impresso a fondo nel nostro cuore i tratti del suo volto, i suoi modi di fare e di entrare in relazione. Così è anche con Gesù: nella misura in cui prendiamo confidenza con il Vangelo e ci lasciamo toccare nell’intimo, il nostro cuore diventa sempre più capace di cogliere, nelle occasioni della vita e nella trama delle relazioni, i segni del suo modo di farsi presente, fino a scorgere nella persona amata la Sua stessa presenza (323).
Per papa Francesco lo sguardo contemplativo sull’altro non è automatico né spontaneo: «si può essere pienamente presenti davanti all’altro se ci si dona senza un perché, dimenticando tutto quello che c’è intorno. Così la persona amata merita tutta l’attenzione» (323).
Dimenticarsi di sé per ricevere l’altro così com’è – e non per come lo vorremmo – è possibile solo accettando di entrare nella logica pasquale di morte e resurrezione, cioè entrando in comunione con Cristo. 
Allora anche nella fatica, quando l’altro diventa motivo di sofferenza, e il rapporto con lui non è più gratificante o è stato ferito, sarà possibile giungere a «contemplare quella persona con uno sguardo soprannaturale, alla luce della speranza, e attendere quella pienezza che [ella] un giorno riceverà nel Regno celeste, benché ora non sia visibile» (117).
Lo sguardo contemplativo, che si riempie della bellezza senza divorarla, è lo sguardo di Colui che ha già attraversato la morte e anche i nostri occhi, per la grazia dello Spirito, sono messi in grado di riconoscere, cioè di vedere davvero.
Don Tiziano Rossetto