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Lavoro e famiglia - Quarta Riflessione

Nello scorso inserto abbiamo concluso scrivendo come il matrimonio sia una fonte necessaria per affrontare la correttamente la questione del lavoro.
Partendo da questa affermazione non ci sembra infondato cercare di interpretare cos’è il “lavoro” mantenendolo collegato alla sua fondazione ed ai suoi primi responsabili (la coppia) voluti da Dio.
Perché Dio – nella rivelazione – affida il compito economico all’uomo/donna?
Certamente non poteva affidarlo agli animali si dirà. Ma nello scritto – ispirato – sapienziale di Genesi si allude sempre ad una verità. Allora quali sono le “ragioni e le conseguenze di questa decisione del Creatore”?
Tentiamo alcune interpretazioni.
Anzitutto l’uomo/donna sono l’imago Dei, il vero volto di Dio (lo leggiamo nei primi versi della Genesi..).
Solo nell’uomo/donna c’è il volto completo e l’opera integra, compiuta di Dio.
Solo in questa immagine di Dio è implicita, integrata, connaturata la continuazione dell'opera creativa. La pro-creazione.
È infatti interessante notare che i due compiti affidati alla coppia (procreazione di figli e gestione del creato) sono immediatamente susseguenti, contestuali. Risulta difficile pensare che l’autore biblico – ispirato dallo Spirito Santo – li abbia accostati casualmente, per pura contingenza.
Infatti questo lavoro di “gestione” (di amministratori delegati) sembra quasi una “seconda fecondità” dell'uomo/donna. Una ministerialità propria del matrimonio.
Solo la coppia è capace di fecondità ad intra ed ad extra. Ricordiamo infatti che la fecondità è uno dei “tria bona” del matrimonio senza la quale il sacramento stesso non sussiste. Di contro attualmente sembra invece che il lavoro sia antagonista della fecondità. Non è questa una ulteriore divisione del piano divino (procreazione e lavoro consequenziali e parimenti intenzionati)? Non avvertiamo tuttora che se una donna rinuncia ai figli (ed al marito stabile) per la carriera c’è qualcosa che non va?
“Prima” del peccato originale l'attività umana era manifestazione della Signoria di Dio e della sua bontà trasbordante. Questo avveniva senza alcuna mediazione, senza disordini. Tuttora questa realtà preternaturale è percepibile. Si intuisce che il lavoro è una “cosa buona”, che saper fare bene qualcosa è “cosa buona”. Buona in sé, aldilà dei vantaggi materiali ed economici. Il lavoro è infatti (ricorda sempre LE) veicolo di dignità ed identità per l'uomo. Con il lavoro l'uomo costruisce ma è anche costruito. Il tutto – ovviamente – se nell'ordine fissato da Dio “in principio”. Fuori di quest'ordine il lavoro perde verità (e diventa sfruttamento della terra, abuso del creato, non-servizio, etc.).
E noi siamo nel “disordine” del peccato.
Il disordine immesso nel mondo con il peccato originale (un peccato in cui la coppia è certamente protagonista) si è trasmesso a varie realtà buone create da Dio in principio quali: la divisione fra uomo/donna, la divisione sociale (Caino ed Abele – la confusione linguistica di Babele).
Fra queste realtà toccate dal disordine, dalla divisione non ci sembra errato inserire lavoro/economia in cima alla lista.
Paolo Moro