Continuiamo a riflettere sul tema del “lavoro” osservandolo da un punto di vista inedito: quella della coppia e quindi della famiglia... Ci siamo lasciati l’ultima volta con una riflessione sul disordine immesso nel mondo dal peccato, e abbiamo concluso dicendo che, da questa divisione, non si può escludere il lavoro (e la conseguente economia).
Quindi per rispondere alla domanda: come costruire un “lavoro” ed una “economia” più umana e veicolo di dignità per l’uomo dobbiamo chiederci:
1. di quale uomo stiamo parlando? Serve una antropologia adeguata. A nostro avviso stiamo parlando dell’uomo integrale, dell’uomo/donna!
2. cosa significa lavoro umano e degno? Significa un lavoro che esprime la verità dell’uomo cioè (per il punto 1) dell’uomo/donna. Verità che è accessibile solo ristabilendo ciò che era in principio. Ma ciò che era in principio è stato “inquinato” dal peccato originale che “inquina” anche il lavoro. Allora l’uomo/donna di cui si parla è l’uomo/donna ristabilito nella sua integrità con la Grazia dello Spirito Santo ottenuta nel Matrimonio a mezzo di Gesù Cristo. Solo tenendo presente la vera imago Dei presente ora storicamente possiamo dare risposta alla domanda iniziale;
3. Per quanto al punto 2 acquisisce molto più significato quanto esposto in LE secondo cui il lavoro è “costruito” dall’uomo ma “costruisce” anche l’uomo. Infatti solo l’uomo/donna redenti in Cristo nel matrimonio sono in grado di dire la verità del lavoro senza le distorsioni del peccato (costruiscono il lavoro), ed aderendo a questo lavoro compiono il piano divino divenendo pro-creatori e quindi riconoscendo sempre più ciò che sono (costruiti dal lavoro). Ricordiamo un altro punto molto significativo: il matrimonio è realtà salvata e salvante. Anche in virtù di questo conosce la verità del lavoro/economia ed è capace di redimerla. Quindi nel matrimonio troviamo anche la via da percorre per rispondere alla domanda del punto 2.
Cerchiamo di distillare alcune conclusioni da queste considerazioni:
Ø come già detto sopra, è nella coppia che risiede la capacità procreativa di Dio. L’uomo/donna hanno in sé la capacità – attenzione: nella grazia del sacramento che ristabilisce ciò che era in principio – di capire ed operare per la buona gestione del creato. La divisione dell’uomo/donna crea altri parametri di riferimento mancanti però di vera fecondità relazionale;
Ø solo nell’armonia uomo/donna c’è una soluzione giusta e coerente delle questioni sociali circa il ruolo della donna nel mondo del lavoro/economia. Con questo non intendiamo certo rinverdire l'odiosa questione secondo cui il maschio lavora e la donna fa figli. Questa “divisione” non ci è propria ma neanche appare dal testo. Vogliamo semplicemente dire che una coppia in armonia e nella Grazia di Dio riesce a discernere senza tensioni ciò che è giusto per il bene proprio e dei figli, per la gestione del tempo, per l’apertura al sociale. Ripetiamo: Ciò che è giusto. Non una piatta uniformità numerica di quote rosa ed azzurre. Certo la donna – ed il genio della donna per il quale rimandiamo a
Mulieris Dignitatem – deve essere più presente nel sociale ma non come pura equilibratura di quote (o quando non va peggio come pura posizione opposizione all’uomo) ma come elemento necessario ed ineludibile perché ci sia reciprocità, quindi fecondità, quindi veri presupposti ad una azione economica sana. Perché ci sia la nuzialità in una parola. Abbiamo bisogno dell’armoniosa relazione uomo/donna e non dei loro apporti come meri individui di sesso
[1] diverso. L’intervento individuale, seppure sessualmente equiparato, può mortificare la relazione (che è invece il significato della sessualità) riproponendo il peccato originale;
Ø il sacramento del matrimonio è la fonte di virtù che può innervare l’azione sociale. Citiamo ad esempio l’indissolubilità e la fedeltà (la fecondità infatti l’abbiamo già citata). Quanto bisogno ci sarebbe di personalità politiche capaci di fedeltà al mandato, di imprenditori fedeli alla comunità e quindi capaci di fecondarla, di lavoratori fedeli e cooperanti all’opera (collaboratori). Se mettiamo in dubbio la necessità dell’indissolubilità e della fedeltà nuziale da dove mutueremo quelle virtù che abbiamo citato sopra e che sembrano attualmente cruciali? Qui potremmo dilungarci parecchio anche senza fare demagogia ma lasciamo a voi trarre conclusioni non banali. Abbiamo o no bisogno di un’azione sociale dove i responsabili siano capaci di comportarsi come lo sposo per la sposa o il sacerdote per la sua Chiesa? L’azione sociale, economica, etc. non sarebbe fondamentalmente (nel senso etimologico) diversa?
[2]
Ø L’uomo/donna nel matrimonio può veicolare anche la fiducia sociale. Fiducia di cui si sente molto parlare in questi tempi (dei mercati, sui governi, sulle banche, etc.). Una società che venga davvero innervata dalla logica nuziale
[3] sarebbe certamente più salda, coesa, collaborante. Tutti elementi capaci di infondere sicurezza e fiducia (forza) sia all’interno della comunità stessa sia percepibili all’esterno. In questi anni abbiamo investito (noi stessi per primi!) nella famiglia?
Ø In una visione nuziale della società sarebbe molto meno drammatico il problema del lavoro femminile, dei figli, etc. La società e l’economia – come l’abbiamo costruita – tende a spingerci sempre più avanti negli anni nell’aver figli. I figli sono considerati un problema. Facciamo una provocazione: non sarebbe meglio avere figli da giovani ed essere produttivi dai 30-35 anni in su? Lasciamo un po’ in sospeso questo punto perché non abbiamo ancora le idee chiare, ma è certo che l’attuale impostazione sociale non stimola (nonostante gli ormai insopportabili proclami) la famiglia. Siamo disposti a cambiare questa situazione?
[1] Oops … gender … è curioso che ci sia una questione di quote rosa ed azzurre quando si tende ad eliminare la divisione fra i sessi. Probabilmente serviranno quote di molti più colori.
[2] Ma scusate … come si può dar fiducia a chi mente alla propria moglie? Se non sei fedele a tua moglie – che è perlomeno il prossimo più prossimo – come puoi essere fedele agli altri. Ma attenzione: non è questa l’eresia. Infatti tutti – noi per primi – siamo peccatori e probabilmente peggiori dei nostri governanti che sono sottoposti a notevoli tensioni. Si può essere peccatori, siamo peccatori! Non è questo il problema. Il problema è affermare che queste “cose” non hanno significato ed anzi magari vantarsene. Questa è l’eresia. E come dire: “per governare correttamente un paese non serve essere giusti e santi ma furbi”. Posso essere egoista (cioè il contrario della nuzialità) ma abile. Questo non è cristiano. Personalmente preferisco l’ipocrisia almeno è
“l’ultimo tributo che il vizio cede alla virtù”.
[3] Ricordo che per la nostra costituzione la Repubblica Italiana è fondata sulla famiglia e sul lavoro. E’ un caso che lo sgretolarsi del significato dell’una abbia comportato lo sgretolamento del significato dell’altro e viceversa? Alla luce della proposta fatta diremo che è una conseguenza attendibile.