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Lavoro e famiglia - Spunti di riflessione

Vorrei condividere con voi alcune riflessioni sul tema del lavoro con riferimento alla famiglia. Ciò in considerazione del dilagare delle preoccupazioni per il lavoro da un punto di vista economico- familiare.
È sufficiente pensare al disagio che è avvertito da molti pensando alla possibilità di crearsi una propria famiglia, all’insicurezza per l’indomani dovuta alla sempre più mancata certezza del posto di lavoro oppure al disagio oggi avvertito di non poter mantenere la propria famiglia.
Tutto ciò, ed altro ancora, ha finito con il mettere il danaro al primo posto nella vita di tutti i giorni e anche le famiglie apparentemente più benestanti (il mitico ceto medio! …) non hanno più la garanzia di una serenità economica un tempo assai più garantita.
Troppa preoccupazione? Sfiducia nella provvidenza? Troppe pretese per cui il benessere al quale riteniamo di aver diritto non ci basta mai abbastanza?
La preoccupazione per l’aspetto economico della nostra vita non è secondaria, anzi.
La certezza economica è assai importante anche a causa della complessità della vita odierna….
Ma (ed ecco il punto!) una prolungata ed eccessiva preoccupazione economica ha fatto perdere di vista l’importanza del lavoro come valore autentico.
E questo valore è uno dei tanti benefici che affondano le proprie radici nel cristianesimo che ha tramandato il senso del lavoro come attività, come impegno dell’uomo in quanto cooperatore di Dio nella creazione.
In altre parole, l’uomo è chiamato a proseguire in qualche maniera quella meravigliosa opera creativa di Dio; non solo, ma l’uomo è chiamato, in qualche modo, a governare, a orientare verso Dio il creato, avendone cura costante. Senza, dunque, tralasciare o anche solo sottovalutare l’aspetto economico con tutti i suoi risvolti pratici, si tratta di recuperare l’aspetto del lavoro come ci è presentato già nell’Antico Testamento e lungo i secoli fino a Gesù e poi oltre nell’insegnamento della Chiesa: lavoro come azione che nobilita l’uomo facendone un collaboratore del Creatore impegnato a prendersi cura del creato con forte e consapevole senso di responsabilità e di gratitudine per ciò che Dio, nella sua infinita fiducia, ha affidato all’uomo.
Ed anche quando sembra che Dio abbia un atteggiamento punitivo nei confronti del lavoro, si pensi alla famosa frase della Genesi: “Non ne devi mangiare, maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba campestre. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane” (Gn. 3, 17-19), in realtà intende far sperimentare all’uomo che il lavoro diventa peso, frustrazione, pena e, a volte, sofferenza quando non lo vive in comunione con il suo Creatore e Signore o, peggio lo vive, al servizio di altri illusori “signori”.
E, aggiungerei, che il lavoro può diventare tragedia quando l’uomo invertendo le parti, si sostituisce - lui, l’uomo, al Creatore.
Quante volte, davanti a situazioni di dolore anziché domandarci dov’è o dov’era Dio, non ci domandiamo che cosa abbiamo combinato con i nostri comportamenti contro natura favorendo, a volte, la rivolta stessa della Natura. Come scrive bene Papa Francesco nella enciclica “Laudato sì” del maggio 2015.
Domandiamoci che mondo sarebbe se usassimo le risorse affidateci dal Creatore, le invenzioni, le geniali intuizioni di cui siamo capaci in quanto creature intelligenti, per governare nella “volontà di Dio” il creato.
L’uomo è investito di responsabilità davanti a Dio, si diceva, e in qualche misura sarà chiamato a rispondere del suo lavoro vissuto come una qualche forma di amministrazione.
Il nostro cristianesimo lo viviamo anche così: nella cura di ciò che maneggiamo, nel non sprecare risorse che nelle intenzioni di Dio sono state messe (e continuano ad essere messe!) a disposizione dell’umanità e, permettetemi di ripetere, rimaniamo con il cuore riconoscente, orientato in Dio.
Ma è importante che tale mentalità (cura per …, non sperperare …) diventi veramente “mentalità”, cioè abitudine, modo di lavorare, di vivere…
Il cristianesimo ha significativamente contribuito a formare tale mentalità nell’uomo.
La cultura greco romana da cui in gran parte deriva la nostra cultura, ha un termine –otium- per indicare lo status ideale dell’uomo libero, non costretto al lavoro (cosa da schiavi!), libero di vivere una vita intrisa di ricchezza e di benessere fondata sul lavoro altrui (gli schiavi, appunto!) Il cristianesimo, erede in questo della cultura ebraica, rovescia la mentalità pagana rivaluta il lavoro che diventa una patente di nobiltà. L’uomo, alla luce della rivelazione e al seguito del suo Maestro, è un essere libero non perché non lavora, ma proprio come essere libero è chiamato ad ereditare la terra in un Regno dove egli, l’uomo, è chiamato ad essere figlio.
Mario Spada