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Maria e Giuseppe: la sfida della generatività

La Parola di Dio parla alla nostra vita, oggi, nel momento storico in cui stiamo vivendo. Allora noi ci siamo chiesti in che modo la vita di Maria e Giuseppe, può avere a che fare con noi.    
L’arcangelo Gabriele è un messaggero di Dio, entra nella storia di Maria senza preannuncio e avvertimento e le comunica il progetto che Dio ha su di lei. Ella è giovane, una vergine promessa sposa di Giuseppe, un uomo della casa di Davide. Al saluto dell’angelo, si dice, Maria pareva turbata. Come avremmo reagito noi? Ella non si nasconde, non fugge, non si vergogna di sé, si lascia guardare; e Le viene detto: “non temere, hai trovato grazia presso Dio e concepirai un figlio” (Lc 1, 30). Ciò va oltre la sua logica e le sue convinzioni, e nella sua semplicità domanda all’angelo: “come avverrà questo, poiché non conosco uomo?”. Si sente rispondere: “Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra e sarà chiamato Figlio di Dio” (Lc 1, 34-35). Ed ecco che l’angelo continua riferendosi ad Elisabetta che seppur sterile partorirà un figlio. Maria non perde tempo ad interrogarsi, ci spiazza col suo immediato: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua volontà” (Lc 1, 38). 
Il primo grande insegnamento di Maria è: avere fede, fiducia nel porsi nelle mani di Dio, a dire “sì”. Accogliere questo annuncio significa lasciare lo spazio a Dio; abbracciare la volontà del Padre; rinunciare alla propria idea di libertà; rinunciare a cercare di tenere tutto sotto controllo. Ella si ritrova promessa sposa, incinta di una gravidanza non attesa, non cercata, non provocata, fuori dal matrimonio; non sa dove andrà, cosa succederà. Quella promessa sarà mantenuta giorno dopo giorno. In che modo Maria è stata generativa? Offrendo sé stessa, mettendosi in gioco, donandosi a favore della vita nella forma in cui si è resa presente nella sua storia. La vita di Maria ci insegna che da soli le cose di Dio non si possono affrontare, l’apertura all’altro e alla condivisione è nei progetti di Dio. 
Ci siamo chiesti anche come Giuseppe è a sua volta generativo nella sua individualità. Abbiamo provato a metterci nei suoi panni: la sua esistenza viene sconvolta dal progetto di Dio per la nascita di un bambino che non è suo. Durante il sonno riceve una missione da Dio: «Non devi aver timore di sposare Maria, perché il bambino che lei aspetta è opera dello Spirito Santo. [...] E tu lo chiamerai Gesù» (Mt 1,20-21). Egli aveva un suo proposito da realizzare, e all’improvviso il Signore gli parla stravolgendo ogni precedente aspirazione.  Come tutti noi, anche Giuseppe aveva le sue debolezze, le sue incertezze, i suoi timori, le sue angosce, le sue paure per un futuro incerto. Ugualmente dice il suo “sì” e si impegna a svolgere una missione che si concretizza nella realtà in cui Gesù è un bambino da curare e crescere, e Maria è la sposa a cui starà a fianco giorno dopo giorno. Giuseppe non pensa a sé stesso o al proprio vantaggio, non si difende da Dio, non accampa diritti, ma è attento alla chiamata che lo interpella e che gli chiede di mettersi al servizio del piano di salvezza. Ciò che rende padre Giuseppe, anche senza la generazione fisica, è donare totalmente sé stesso, impegnare il proprio presente e il futuro perché la Parola di Dio diventi carne e vita in Gesù. Giuseppe diviene così il custode di Maria e di Gesù, sia nei momenti semplici sia in quelli difficili della vita quotidiana della casa di Nazaret. 
Cosa ha da dire a noi la famiglia di Nazareth? C’è sempre un’opera di Dio che possiamo accogliere, custodire, nutrire, oggi, in questo momento di vita. Lui ci chiede il nostro “sì”, e le cose di Dio avverranno col loro corso, talvolta mettendoci nel ruolo di spettatori, altre volte in un ruolo più attivo. Io e mio marito abbiamo scelto di sposarci quindici anni fa perché sentivamo che l’unire le nostre vite potesse generare cose buone. Il sentirci amati da Dio ci ha fatto trovare il coraggio di donare la nostra vita all’altro senza timori, sapendo che Dio era con noi.  Siamo diventati genitori di due figli, e viviamo il nostro ruolo genitoriale con la nostra umanità, la forza della preghiera, e la consapevolezza che non sono nostri figli, ma figli di Dio. Il nostro voler essere fecondi non si è esaurito con l’atto generativo, ma ogni giorno ci interroghiamo sul come essere dono a favore della vita. Da quindici anni allora diciamo il nostro “sì”, pur con la nostra fragilità, coi nostri limiti, con le nostre delusioni, ma con la consapevolezza che Gesù crede in noi e non ci abbandona. 
Noi come coppia scegliamo di essere fecondi quando perdoniamo, perché solo così nel profondo doniamo vita nuova alle persone. Siamo generativi quando vogliamo il bene dell’altro e, astenendoci dalle nostre idee e dai nostri giudizi, permettiamo all’altro di essere sé stesso e volgere lo sguardo verso ciò che per lui è nuova via. È attraverso l’incontro con l’altro che comprendiamo chi siamo, in una forma mai definita, ma che Dio plasma con i nostri “sì”. E anche oggi scegliamo di essere aperti ai nuovi progetti che Dio vorrà affidarci. È lo Spirito Santo che ci fa essere strumento nelle mani di Dio e complici della sua opera, l’Amore. Non è questione del nostro fare, ma di lasciare spazio a Dio affinché compia la sua opera in noi e con noi. 
Donata e Simone (Famiglie del Movimento francescano fraternità familiari di Camposampiero)