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Spogliazione interiore per potersi appartenere

Il n. 319 di Amoris Laetizia presentava come caratteristico del matrimonio «il senso di appartenere completamente a una sola persona». Precisava che si tratta di «un’appartenenza del cuore» e non di «una legge vissuta con rassegnazione» altrimenti – dice il papa – «non avrebbe significato spirituale».
Il n. 320 ci aiuta a comprendere meglio che cosa si intenda con «significato spirituale» della fedeltà. Afferma infatti che l’appartenenza reciproca e totale nella fedeltà coniugale è possibile solo «quando ognuno scopre che l’altro non è suo, ma ha un proprietario molto più importante, il suo unico Signore». 
Posso dunque consegnarmi al legame con l’altro soltanto intuendo che egli non intende ridurmi a sua proprietà, ma contempla in me la mia dignità di figlio di Dio rinunciando alla sicurezza apparente del possesso: «Nessuno può pretendere di possedere l’intimità più personale e segreta della persona amata e solo Dio può occupare il centro della sua vita». 
Dio non contende lo spazio con gli affetti umani e non si pone in contrapposizione ad essi. L’esperienza spirituale mostra invece che è completamente libero di amare gli altri chi si è lasciato occupare totalmente da Dio. Emerge qui la tipica paradossalità dell’esperienza spirituale che caratterizza anche l’esperienza dei coniugi, i quali giungono ad appartenersi reciprocamente solo rinunciando a possedersi. 
La relazione intima e personale d’amore con Dio, unico Signore, custodisce dunque l’equilibrio della relazione coniugale e può farla crescere fino al «punto in cui l’amore della coppia raggiunge la massima liberazione e diventa uno spazio di sana autonomia». Qui per «liberazione» si intende soprattutto l’espropriazione di sé, la liberazione dall’io che, per vivere, ritiene di dover “consumare” la realtà e le altre persone. 
La «sana autonomia» è quella di chi smette di «attendere dalla persona [amata] ciò che è proprio soltanto dell’amore di Dio». Tale capacità non è automatica, ma è frutto di un cammino spirituale che aiuti ciascun coniuge «a “disilludersi” dell’altro», mano a mano che maturano in lui la fiducia e la compassione necessarie ad «accettare l’altro come parte di questo mondo, anche quando agisce in un modo diverso da quello che io avrei desiderato» (92). «Questo – dice sempre il papa al n.320 – richiede [a ciascun coniuge] una spogliazione interiore» per rinunciare alla pretesa che «l’altro soddisfi completamente le sue esigenze».
Possiamo qui riconoscere le principali radici di tante fatiche e aridità della vita coniugale e familiare, e le ragioni di molti momenti di delusione e di crisi. Sono momenti in cui i coniugi possono chiudersi e interpretare ogni fatica come la smentita di quell’orizzonte promettente che il loro amore aveva inizialmente dischiuso, e perdersi a ricercare le colpe dell’uno o dell’altro. Oppure possono vivere quei momenti duri confidando che «ogni crisi nasconde una buona notizia che occorre saper ascoltare affinando l’udito del cuore» (232) e può condurre a favorire quella «spogliazione interiore» di cui parla il papa.
In questo modo la spiritualità coniugale e familiare si sviluppa nella trama ordinaria delle relazioni reali, così come sono, e i coniugi le riconoscono come occasione e strumento per lasciarsi interiormente spogliare, così da divenire più liberi e forti nell’amare. 
«Abbiamo bisogno di invocare ogni giorno l’azione dello Spirito perché questa libertà interiore sia possibile».
Don Tiziano Rossetto