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Stare in ascolto di ragazzi e giovani

Un adolescente in casa è una spina nel fianco. Il dolce bambino obbediente che avevamo conosciuto quanod andava alle elementari è diventato alle medie o alle superiori un ringhiante signor no, intrattabile e ondivago. Passa dagli sproloqui al silenzio tombale: si chiude in camera e non c’è verso di farlo uscire. Il tempo della pandemia ha solo che enfatizzato questa dinamica usuale.
Figurarsi in questo contesto cosa significa la parola “ascolto”. Ascoltare il silenzio? Ascoltare l’assenza? Eppure in questi atteggiamenti difficili da sopportare c’è una comunicazione, un tentativo di espressione del disagio che il ragazzo ha dentro. L’adulto se vuole può provare ad “ascoltare” questo disagio, a cogliere nei piccoli elementi del non-verbale (espressione del volto, postura del corpo, vestito utilizzato, linguaggio delle mani, ecc) qualche appiglio per intavolare un dialogo, per provare a penetrare la corazza del silenzio, per infilarsi in un pensiero del ragazzo.
San Paolo ci ricorda che “Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi” (Rm, 12,8) e quindi anche quel difficile ragazzo ha i suoi doni dati da Dio. Ecco, la famiglia nel tempo della prima infanzia con l’aiuto della comunità è bene che faccia crescere questi doni e che li fortifichi per poter avere degli appigli e dei riferimenti condivisi con lo stesso ragazzo che arrivato all’età adolescenziale vive la metamorfosi che lo porterà alla giovinezza. Nella pratica mi vengono in mente le esperienze che il bambino vive da protagonista come il chierichetto e l’appartenenza ad un gruppo presente e vivo nella chiesa come l’ACR e gli scout. Ci saranno altre modalità per vivere intensamente la comunità e la spiritualità che non riesco a focalizzare, ma la cosa importante è che contengano un linguaggio e uno stile condiviso tra l’adulto e il ragazzo e che ci siano momenti, ritualità, luoghi che si prestino ad un loro utilizzo successivo, quando la difficoltà di relazione esploderà. Infine in tutte queste fasi della vita del bambino e del ragazzo è molto, molto utile chiedere direttamente a loro di verbalizzare le cose che hanno dentro: nel mondo scout c’è un vecchio detto di BP (il fondatore dello scoutismo) che in inglese suona così: “ask the boy!” Ovvero chiedi al ragazzo, fallo parlare, permettigli di esprimersi, dagli spazio, non fermarlo perché si esprime con un gergo giovanile che non capisci. Questa dinamica famigliare può trovare un appoggio importante nella comunità cristiana soprattutto se gli adulti tra loro sono capaci di creare relazioni aperte e significative. Condividere uno stile di ascolto e di accoglienza tra persone come ci ha insegnato Gesù in tutte le età della vita.

Carlo Casoni