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Zaccaria e Elisabetta: la fiducia in Dio

Il Vangelo di Luca comincia narrando di una coppia, Zaccaria e Elisabetta, i genitori di Giovanni il Battista, su cui si realizza la promessa di vita di Dio. “Al tempo di re Erode, re della Galilea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abia, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta” (Lc 1, 5). Questo elenco di nomi e di luoghi ci fa riflettere sul fatto che Dio agisce nel tempo della nostra vita ordinaria, nei luoghi concreti della nostra vita reale.  Noi due ci siamo chiesti se siamo convinti che Dio ci parla anche oggi, anche in questo tempo storico difficile, nelle nostre vite complicate, imperfette, anche dentro alla nostra coppia nonostante le nostre ombre, le nostre irregolarità.
 Il testo poi continua: “Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore. Essi non avevano figli perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni” (L 1, 6-7). Incontrando molte coppie, nel nostro percorso ci siamo imbattuti in situazioni che a noi paiono spesso di ingiustizia, com’è nel caso di Zaccaria e Elisabetta: due persone giuste, ma che per condizioni indipendenti dalla loro volontà - la sterilità e l’età avanzata - non hanno visto realizzare il loro sogno di avere un figlio e vivono una mancanza, una morte, una non felicità. E ci è venuto da pensare come spesso anche noi due vorremmo a volte che le cose fossero diverse, per esempio che in famiglia si andasse più d’accordo, che i figli fossero più riconoscenti, il nostro lavoro più soddisfacente, che io, Alberto, mi accorgessi subito di quello di cui c’è bisogno in casa e Angela desse più importanza alle coccole e alla tenerezza che alle cose da fare… 
Eppure, Dio agisce là dove meno ce lo aspettiamo, Dio ha promesso la vita per ognuno di noi e la realizza nei modi e nei tempi suoi. Infatti, Zaccaria significa “Dio si ricorda” e il nome di Elisabetta significa “Dio ha giurato”. Dio non si è dimenticato dei desideri, dei sogni di questa coppia, il loro stesso nome, la loro stessa identità rivela la promessa di Dio su di loro. Avvenne così che apparve a Zaccaria un angelo del Signore: “Non temere Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio e lo chiamerai Giovanni, avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno, perché egli sarà grande…sarà ricolmo di Spirito Santo…” (Lc 1, 8-17). Non solo Dio realizzerà la sua promessa all’uomo, ma la realizzerà in abbondanza. Dalle parole dell’angelo risuonano parole di gioia, di pienezza, di grandezza e Zaccaria è preso da turbamento, avverte che sta succedendo qualcosa, qualcosa di nuovo. Lui sente questa Parola, ma non sa coglierla come un evento, non si fida e chiede: “Come potrò mai conoscere questo?” (Lc 1, 18). Per Zaccaria, come per noi, certe cose risultano impossibili, facciamo fatica a fidarci. Eppure, Dio ha un progetto su di noi e lo realizza nei suoi modi e nei suoi tempi. Egli deve passare attraverso la nostra sterilità, le nostre mancanze per poterle trasformare in vita nuova, in relazione di amore tra lui, Padre, e noi, figli amati.
Ecco, dunque, che a questo punto Zaccaria chiede un segno e diventa muto. Non è una punizione per la sua incredulità, ma per l’appunto un segno: un segno prima di tutto che, nonostante la nostra infedeltà, Dio resta fedele e continua attraverso di noi a realizzare la sua promessa di vita; un segno poi, perché è solo nel silenzio che si può riuscire a fare spazio dentro di noi per accogliere la novità, la Parola che Dio Padre ci vuole dire. Così dobbiamo riconoscere quante parole tra noi siano dette a sproposito, con il solo scopo di difendere a tutti i costi le nostre sicurezze e le nostre ragioni, mentre invece ci sarebbe bisogno di stare in silenzio, di astenerci dal giudizio, di pregare…
Il silenzio di Zaccaria, il suo accompagnare in preghiera la gravidanza di Elisabetta, il suo contemplare silenzioso quella giovinetta di nome Maria che viene a far loro visita, tutto questo silenzio gli permette di ospitare la Parola. Una volta nato Giovanni, infatti, quando potrà di nuovo parlare, Zaccaria sarà già pieno di Spirito Santo e le sue parole non potranno essere che parole di lode e di benedizione davanti non solo al dono del figlio (Giovanni significa “dono di Dio”), ma a tutta l’opera del Signore.
Anche Elisabetta in questo primo capitolo di Luca si ritrova a benedire Maria: “Benedetta tu fra tutte le donne e benedetto il frutto del tuo grembo” (L 1, 42). Riconosce in Maria colei che ascolta Dio, la benedetta fra le donne. Elisabetta intuisce di venire visitata dal Signore: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?” (Lc 1, 43) e capisce cha sta facendo un incontro speciale. E questo perché il bimbo le sussulta nel grembo, come a dire che quando facciamo un incontro significativo c’è qualcosa che ci smuove dentro, tipo quelle “farfalle nello stomaco” che abbiamo sentito noi quando ci siamo innamorati. Sono queste esperienze o questi incontri che ci danno un’inspiegabile gioia interiore. Quando Gesù ci fa visita, quando lo incontriamo ci sentiamo così, sentiamo che la nostra vita può avere una svolta. Riflettendo su ciò ci siamo chiesti: sono capace di benedire il mio coniuge?  E so riconoscere nella mia vita quando Dio viene a farmi visita?
In conclusione, la vicenda di Zaccaria ed Elisabetta è la storia della promessa di Dio, la storia pure della nostra coppia, che ha sperimentato come il Signore vince la sterilità, i nostri limiti e ci ha insegnato che se ci fidiamo e sappiamo leggere i segni che lui ci dà, possiamo avere vita nuova, vivere relazioni di amore autentico, sentirci figli di quell’unico Padre, perché come dice Giovanni alla fine del suo Vangelo “credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20, 31).
Angela e Alberto (Famiglie del Movimento francescano fraternità familiari di Camposampiero)